CICLISTI DA DIPORTO - di Ivo Zunica
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LA IATTURA DEI CICLISTI DA DIPORTO


I ciclisti della domenica (ma non solo, purtroppo) infestano le strade pianeggianti della cosiddetta padania. Hanno bici in lega di titanio o che so io, costose quanto uno stipendio, ma leggerissime, resistentissime, equilibratissime. Vestono divise sgargianti e multicolori, con caschi griffati, magliette firmate, pantaloncini aderenti, scarpe non ne parliamo e mutande da ciclisti.
Si spostano in branchi di alcune decine di pedalatori, tutti insieme, vicini vicini. Alcuni gesticolano o si mandano voci gutturali in ostrogoto o longobardo. Procedono in tripla, quadrupla, quintupla fila, del tutto indifferenti alle norme della circolazione, occupando l’intera corsia di marcia. Per superarli con l’auto devi gettarti completamente contromano, perché guai a toccarne uno: è più pericoloso che dare un paio di ceffoni a un alunno diversamente abile (ma magari normalmente stronzo). Se ne  fai cadere uno, sono guai seri per te!
Ma loro procedono indifferenti al circostante mondo veicolare, affrontano rotatorie ed incroci senza alcuna esitazione per i colori dei semafori: gialli, rossi o violetti, loro avanzano imperterriti sempre alla stessa velocità.  Per qualche imperscrutabile ragione si sentono i padroni assoluti della strada e scivolano via sempre con la medesima pedalata di guerra.
Ci sono poi anche, tra questa genìa di superaccessoriati, i ciclisti solitari. Nella zona agricola in cui abito, spesso diletto il corpo e lo spirito pedalano quietamente col mio catorcio da passeggio. Vado per tranquille e asfaltate stradine interpoderali che costeggiano rogge e canali. Il ciclista dilettante è come quello dei branchi anzidetti: si diletta solo lui. A te ti sfreccia accanto col suo velocipide supersilenzioso e tu dalla sorpresa rischi di sbandare. Non si preoccupa del fatto che per una qualsivoglia ragione potresti allargare un braccio e affibbiargli così una sonora e meritata sberla. Meritata perché col cavolo che preannuncia il suo sopraggiungere.
Sempre rigorosamente sprovvisti di campanello (si vede che comprometterebbe l’aerodinamica del mezzo), questi ciclisti solitari solo raramente ti avvisano che stanno per passare e lo fanno con un verso pre-verbale, con un mugugno, emesso generalmente nell’imminenza del loro passaggio, quando ormai è troppo tardi perché i tuoi tempi di reazione ti consentano di farti da parte. Così te li vedi sfilare accanto e subito ti precipiti a lanciare al loro indirizzo una qualche maledizione. Ma niente, loro, sordi a qualunque protesta (saranno sordi davvero?) continuano indifferenti a sfrecciare in vista della prossima vittima (ciclista da passeggio o viandante pedestre) da terrorizzare.
Qualcuno certo non sarà d’accordo e maledirà me: ma io maledico questi fanatici delle due ruote, che vanno per le vie come se l’asfalto fosse stato posato solo per loro.

Prof. Ivo Zunica