TRADIZIONI AVELLANE - Prof. Nicola Montanile
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STORIA DEL MAIO DI BAIANO

Si è conclusa, nel comprensorio avellano baianese, la seconda fase del culto del Maio, con la celebrazione  a dicembre in onore del santo patrono, il protomartire Santo Stefano, la cui prima è iniziata il 30 novembre a Sirignano, per Sant' Andrea.

Il rito arboreo continuerà nel mese di gennaio, e precisamente il 10, a Mugnano del Cardinale, per Santa Filomena, che non è la patrona (lo è la Madonna delle Grazie), per poi passare a Quadrelle il 17 per Sant'Antuono (nemmeno lui patrono, perché lo è San Giovanni Battista), e arrivando, infine ad Avella il 20, questa volta con il protettore San Sebastiano.

Il definitiva, la kermesse terminerà il 20 febbraio, nel piccolo centro basso irino di Sperone, per il patrono sant'Elia, mentre a Nola prenderà il nome di Giglio, con usanze e connotazioni diverse.

E, a proposito dell'ancestrale manifestazione ierofanica del sacro attraverso il profano, ecco come lo scrittore Can. Stefano Boccieri, nella seconda parte del suo libro "Briciole", - Tipografia Ferrara - Avella, 1957, parla della religiosita e del Maio di Baiano, suo paese.

“… Non ho potuto avere, almeno  fino a questo momento, notizie precise circa l’origine del culto di Baiano a S. Stefano e la fondazione della sua Chiesa. Ho la quasi certezza, che però, Baiano innalzasse un Tempio al Protomartire fin dal tempo  in cui non era che un casale. I documenti e le memorie relative, conservate nella curia nolana, risalgano soltanto agli anni immediatamente posteriori al gran Concilio di Trento (1545 – 1565). Si apprende da essi che, in quel tempo, la chiesa di S. Stefano funzionava già da parrocchiale. Nel 1586, il Vescovo nolano, recatosi in santa visita a Baiano, assistette alla Messa, celebrata dall’arcipresbitero D. Felice De Bucceriis (un mio antenato). Finita la Messa, il De Bucceriis presentò al Vescovo la bolla della sua investitura, ricevuta da Mons. Scarampi, dopo che D. Marco Beccari, suo predecessore, ebbe rassegnate le sue dimissioni. Oltre che parrocchiale, la Chiesa di S. Stefano fu la Chiesa cimiteriale del paese. E’ noto che, fin quasi al nostro tempo, i fedeli morti si inumavano sotto o nei pressi delle Chiese, ritenute il luogo più adatto per dormirvi nella pace del Signore. Si può, quindi, affermare che tutto, o quasi Baiano, che fu, dorme ai piedi del suo Santo. Tuttavia la Chiesa del Protettore fu sempre umile e povera, almeno fino al 1910, quando si iniziarono ingenti lavori di ampliamento e di restauro. E povera fu sempre la parrocchia, tanto che i parroci stentarono non poco per sopperire alle necessità e mantenere il decoro del Tempio. Si distinse, tra glia altri, per intelligente attività e l’amore a S. Stefano, D. Andrea Del Litto, eletto parroco nel 1749. Fu lui che, nel 1750, l’anno dopo la sua lezione, fece scolpire la bella statua di S. Stefano, che noi veneriamo nel Santuario, e ne fece costruire la nicchia ed indorare la pedagna. Egli morì nel 1801, a 93 anni. E, forse, visse a lungo soltanto perché, molti anni prima, aveva rinunziato alla parrocchia, cercando la pace, che non aveva avuta da parroco. Potrei dire dei suoi successori, fino ai giorni nostri; ma temo che tale croni-storia sia poco interessante agli amici e mi affretto a dare loro qualche notizia circa la popolare funzione del maio e del focarone.

Mi si domanda spesso: Come e quando cominciò la singolare e suggestiva funzione?

Si sono sprecate molte chiacchiere in proposito ed azzardate ipotesi fantastiche. Qualcuno ha parlato del fuoco sacro dei pagani e delle Vestali, che lo custodivano; altri, a proposito del maio, è risalito fino ai druidi ed agli alberi sacri della selva gallica. Questo, per concludere che le manifestazioni e le funzioni sacre dei pagani, modificate ed adattate, sono state continuate dal popolo nel culto cristiano. Può ben darsi che, in qualche caso, sia stato così; ma, nel caso nostro, affermo, assolutamente , di no. Ecco: Nei tempi passati, il nostro paese era abitato in prevalenza, da contadini e boscaioli, i quali tutti si levano prestissimo per andare al lavoro. Questa brava gente nostra usava, ed usa, nella novena di S. Stefano, che coincide con quella di Natale, assistere alla Messa, ancora prima d’iniziare il lavoro. Dovendo, quindi, muoversi nelle primissime ore del mattino, per andare alla Chiesa, quando le vie non erano neppure illuminate da una tenue fiammella di candela, si armavano di tizzoni ardenti per farsi luce e riscaldarsi. I tizzoni, poi, venivano tutti deposti sullo stradone, davanti alla Chiesa, intorno ad un ceppo od un ramo più grosso, e la fiamma saliva, diffondendo luce e calore bella notte invernale. Più tardi, quando non vi fu più bisogno di tizzoni per attraversare di notte le vie, i fedeli li portarono ancora ed, insieme ad altra legna, li offrirono al Santo; ma lo fecero in pieno giorno e soltanto nella vigilia della festa. Prima, però, recisero nel bosco l’albero più bello perché troneggiasse in testa alla pira. Cominciò cosò la funzione del maio e del focarone, non ricopiata da riti pagani, ma bella perché semplice genuina opera di fede. Certo, da principio, la funzione non si svolse tale e quale come oggi; ma si perfezionò con glia anni. E posso affermare con sicurezza che essa è più antica di quanto si ritenesse. Infatti, risulta da una memoria conservata nella Curia di Nola, che, il 16 febbraio 1682, un certo Francesco Antonio Stingone donava una selva, in località “Fontana” <a disposizione ed arbitrio del parroco ed a servizio della Chiesa di S. Stefano> Proprio in questa selva, ogni anno, nel mattino di natale, i baianesi sceglievano il maio, per trasportarlo in gloria sul piazzale della Chiesa.

La selva fu, poi, venduta ad Antonio Boccieri, il 6 novembre 1769. E, forse, da tale anno, il popolo cominciò a cercare il maio nel bosco “Arciano”, assegnato, come si è detto, al nostro Comune fin dall’anno 1726. Da alcuni anni però, nel bosco, che fu la ricchezza del paese, non si trova più un maio per il Protettore. La guerra, che ha distrutto tante cose, ha pure distrutto il notro bosco, contagiato da legno infetto, importato da soldati stranieri. Ma i baianesi lo troveranno, sempre, un maio per il loro Santo, perché il maio è diventato un simbolo, quello della fede”.

LA GRAMCIA DI MALTA AD AVELLA
I Cabrei, nell’Italia meridionale, dette anche Platee, inventari dei beni delle grandi amministrazioni ecclesiastiche, nonché le Conclusioni, unitamente ai Registri dei Nati, Matrimoni e Morti, senza dubbio rappresentano cospicui ed importanti documenti che le chiese custodiscono, accuratamente e gelosamente,, nelle proprie parrocchie; e non si tralasciano gli Onciari, però non appartenenti al clero.
Sono un supporto, importantissimo, per la conoscenza delle nostre radici; le platee, che si dividono in vari capitoli o chiamate, ci consentono di informarci sulle proprietà e sugli accordi di terreni.
In quella della Chiesa di S. Romano di Avella riscontriamo: 1) Li seguenti beni stabili, e Capitoli senza peso di Messe; 2) Piedamonte o Beneficio; 3) La Santa; 4) Chiana Madonna; 5) varchero censito con carlini 27 e grana 6 Antonio Gaglione; 6) La Mola seu S. Cataldo; 7)22 Febro altro S. Cataldo; 8) Carl. 11 a 5 7bre e Carl. Nel g. di quaresima; 9) A 21 luglio doc. 100 ga 56 Antonio D’Anna; A 3 luglio Carl. 17 da Dom.  Simeone; 10) A 3 7bre g 4 doc. 18.
Dopo queste chiamate, alcune illeggibili, a pagina 15, notiamo ancora: “Sieguono beni stabili, e Capitali di da Parocchia a qual vi è annessa il peso delle Messe alla ragione di grana venti per ciascna”, e seguono altre località avellane e contratti stipulati con strumenti notarili e per un utile documentazione sono riportate: 1) Campo , 2) Pienzano,  3) Senza titolo, 4) Patricciano, 5) Andrea Napolitano, 6) A 11 8bre dagli Eredi Fis° Ant° Barba, 7) A 3 8bre Carl. 17 e grana 5 – dagli eredi del qm Agostino Borzelli, 8) A 3 8bre doc. 15 da Nicola Avanzo, 9) A 27 8bre carl. 3 per mese quindici D. Carlo d’Anna, 10) A 1 gennaro carl 24 e per esse messe di Antonio Barba, 11) A 4 aprile carl. 15 messe degli eredi di Dom° Guerriero del qm Gio Batta.
12) A 14 maggio carl. 16 e per essi messe da Marco Napno, 13) A di 11 Gennaro carl. 8 per messe 4 del mco Gio: Dom° Biancardi, 14) A 28 8bre docati 10 per messe 50 dal Revdo Virgilio di Avanzo e Nr Saverio di Avanzo, 15)  A p° Agosto e Pescione messe 25, 16) Senza titolo, 17) A marzo docati 4 dalli coniugi Antonia Majella, 18 ) Annotazioni, 19) Maritaggi.
Tutte interessanti, ma lo è in special modo quella della pagina diciotto, senza titolo, che è opportuno riportare in toto.
Senza Alcuna Intestazione: “Un oliveto di una capacità di un moggio e mezzo in circa a  corpo, e non a misura sito nel luogo detto sotto S. Giacomo, confinante ad Oriente con altra via picciolo vallone di da chiesa e via Pubblica, da Occidente con altra via Pubblica frapposta fra d° oliveto, e li beni del mco Filippo Luciano, da settentrione colli beni della Grancia di Malta, cenzuati al Dr Giuseppe Vetrano di Sperone e quelli di Simone Caruso, e da mezzogiorno colli beni della Cappella dell’anime del Purgatorio alla strada regia cenzuati a Cristofero Ciardi, qual oliveto fu comprato dal fu Paroco D Gio: Battista Majetta col denaro del taglio delle querce del Trorio della Parocchia , come per Stromento rogato per mano del fu Notar Francesco Majetta nell’anno 1713 da Nicola Soriano, e Domenica seu Menica Ciriaco conjugi con Regio assenzo con denaro di da Parrocchia pervenuto a do Paroco Majetta dal taglio delle querce di Trorj di da Pa come apparisce dal do Strom di compra dal medmo fatto stipulato dal do Notr Francesco Majetta nel di 22 febbrajo 1713 nel qual Stromto però non si ravvisa verun peso di messe” -
Il rigo successivo è completamente  staccato e, in una calligrafia  diversa, c’è una annotazione che recita “Avendo io qui sotto Canco. Parroco l’istro di compera fatto dal fu Paroco Majetti ho ravvisato che detto fondo è libero dal peso delle messe; E qui per errore del Parroco Napolitano fu posto tra fondi soggetti a peso di messe  Salvadore  – Cano. Paro. Lombardo”.
Quando si parla di San Giacomo – e vi è una strada detta “Santo Jacopo”, alle spalle di via Santa Croce, per la quale si raggiunge il castello -, che per immettersi si deve attraversare il fiume Clanio, in un podere di campagna vi era un tempo una chiesetta di Templari, i cui beni, quando vennero eliminati, passarono ai Cavalieri di Malta, che lo storico ing. Capolongo, in un suo libro, così  descrive “La Cappella di San Giacomo, nella Grancia omonima posta in Avella, viene per prima volta descritta nella sua struttura. Sulla porta d’ingresso vi è lo scudo della Religione di Malta nonché un dipinto o maiolica con la Madonna, San Giacomo e San Giovanni Evangelista. All’interno, sulla parete dell’altare maggiore, vi sono due dipinti; c’è anche un’acquasantiera. La copertura è fatta di embrici. C’è un piccolo campanile sovrapposto alla Cappella e munito di una piccola campana. La Cappella risulta affidata dal commendatore ai due eremiti pugliesi fra Sebastiano Cepolla di Barletta e fra Francesco Merlino di Monte Sant’Angelo, dell’ordine di San Paalo”.
Lettura delle abbreviazioni: Seu/ o, oppure, sia; Febro/Febbraro –  Febbraio; Grana/Moneta del Settecento; Carlini/idem; 7bre/Settembre; g/Giorno; doc/Ducati idem come detto; ga/Grana; d
a/Detta; ciasna/Ciascuna; 8bre/Ottobre; Fisco/professore di Fisica e Chimica all’Università di Napoli, ma avellano che fece esperimenti sul muschio di Avella; Anto/Antonio ; qm/significa Fu e sarebbe il “Quondam”  latino ovvero c’era una volta; gennro/Gennaro o Gennaio; Domco/Domenico; Napno/Napolitano; mco/Magnifico; Revdo/Reverendo; Nr/ Notar – Notaio; po/Primo; Stromto/Istrumento; do/Detto; Para/Parrocchia; medmo/Medesimo; Notr/notar – Notaio; Dr/Dottore; istro/Istrumento.
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Un'ultima annotazione: la valutazione dei beni veniva fatta in Once, moneta di conto equivalente a Ducati (valore di 20.000/25.000 lire del secolo scorso); l’Oncia corrispondeva a 6 Ducati, 30 Tarì, 60 Carlini, 600 Grana, 1200 Tornesi, 7200 Cavalli.

S. GIOVANNI BATTISTA E LA CINGHIATURA DEL NOCE


Si sa che le ierofanie sono  la manifestazione del sacro attraverso il profano e, prendendo in esame le vegetali, vengono classificate in questo modo: un tipo individuato di albero (il noce), frutto (il limone), il fiore in senso lato e l'albero in senso lato.

Nel campo magico tutti ricordano la leggenda delle streghe nell'area del beneventano che si riunivano, intorno ad un albero sacro, un noce; un albero che sta tra il religioso e il magico, il sacro e il profano.
"In questa dimensione - si legge nel libro "Entro i relitti dell'ambiguo, a cura del prof. Franco Salerno" - si colloca infatti il famoso rito della <Cinghiatura dei noci>.  Il 24 giugno si celebra la festività di san Giovanni Battista, patrono di Roccarainola; (NDA anche di Quadrelle)nell'ambito di questa festività si effettua tutt'ora (anche se con minore frequenza di una volta) la <cinghiatura dei noci>. Nella notte del 23 tutti i tronchi dei noci vengono cinti, legati (questo tema del 'legamento' ritornerà nel culto popolare di un altro santo, Sant'Antonio Abate) da rametti di salice o di pioppo, per proteggerli da   caduta prematura delle noci. La genesi di questo rito viene riferita alla decapitazione del Battista avvenuta per un capriccio di Solomè, su istigazione della madre Erodiade".
Il testo presenta una sottotitolo "Misteri e Furori nelle Feste e nei Culti popolari del <mondo magico> campano dal 1500 ad oggi"; si tratta l'argometo nel capitolo terzo "L'Universo delle ierofanie nel Nolano, nel Vallo di Lauro e nel Baianese" ed è stato impresso nel mese di maggio 1984 presso le Arti Grafiche Palumbo & Esposito Cava dei Tirreni (Salerno) e scatusrisce da un lavoro di una serie di ricerche, fatte da un gruppo di studenti della IA C del Liceo Scientifico "E. Medi" di Cicciano.
L'interessante lavoro sulle nostre radici ci informa, altresì, "Un'altra interpretazione, invece, collega la <scarmatura> delle noci (cioè la caduta precoci delle noci) ad un essere mostruoso, tipo un grosso serpente o un drago (ritorna la presenza del serpente, che abbiamo già evidenziato nel quarto paragrafo del secondo capitolo): esso appare solo alla vigilia di san Giovanni Battista. Secondo gli anziani, nel mostro si incarnerebbe per una maledizione lo spirito di colei che fece decapitare il Santo; perciò ai giovani e alle fanciulle veniva raccomandato di non avventurarsi per i campi durante la vigilia di san Giovanni".
Ma i giovani discenti,  forse, oggi, docenti o professionisti, narrano anche di "Un'altra leggenda fra religioso e magico, sempre in riferimento al noce, è quella di san Barbato e del <noce incantato> con la quale ritorniamo nell'area del Beneventano. Si racconta infatti che san Barbato abbattè a colpi di scure il <noce incantato> e lo seppellì in una fossa. Ma dalle radici balzò fuori un demonio gigantesco (ritorna sotto forma cattolica il tema dell'<essere mostruoso> presente nella <cinghiatura dei noci> tanto spaventoso a vedersi che tutti scapparono, tranne san Barbato. Il demonio aveva avuto il tempo di far spuntare dal terreno un nuovo noce alto e verde come quello che san Barbato aveva abbattuto, intorno al quale continuavano a riunirsi diavoli, streghe e <arcifanare>, cioè le streghe possedute da diavoli. In tutta questa serie di credenze collegate al noce  un elemento senz'altro è in comune: la dialettica vita/Morte. Infatti: - la decapitazione del Battista è un evento a - temporale (di Morte) che serve a proteggere contro una <morte> precoce delle noci; - il risorgere continuo del <noce incantato> introduce il tema dell'albero come simbolo della vita...". 
Alla fine, i giovanotti chiudono con M. Eliade, op.cit. p.275, che dice "L'albero rappresenta - in modo sia rituale sia concreto sia mitico e cosmologico e anche puramente simbolico - il Cosmo vivente, che si rigenera senza interruzione".
Un prosit, quindi, agli allora giovani studenti nelle persone di Letizia Cafarelli e Adele Lombardi, che trattarono proprio la "cinghiatura", nonché Ida Bifulco, Alessandra Miani, Nunzia Pierno, Paolino Castaldo, Enrico Fedele, Aniello Laudanno, Giovanni Russo, Luigia D'Angelo, Giuseppe Buonaiuto, Pierluigi Romano e ovviamente al coordinatore, magnifico prof. Franco Salerno.

 

Nicola Montanile