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di Nicola Montanile Con il mese di maggio, la mente, per gli “stagionati”, si riporta, per quanto concerne la chiesa e la fede non intese come spettacolo, a dolci ricorsi... quando non ci si scambiava il segno di pace, che crea una confusione, perché sarebbe sufficiente scambiarselo solo nello stesso banco e non con quelli di davanti e di dietro e di fianco, non si cantava facendo ginnastica, non si recitava il Pater Nostro, come se qualcuno ti avesse puntato una pistola contro oppure altri, tenendo le mani all’altezza dei fianchi, come se le stessero riscaldando o mimando “tengo nù cane accussì ruosse”. Quanti a causa dello scambiarsi il segno della croce, prima di prendere posto in un banco, osservano se c'è qualcuno con il quale non vuole eseguire questo rito, così come a Pasqua si dona la palma a quello con cui si sta in pace? Certo era un’altra chiesa, un'altra fede e il compianto don Filippo Marotta, pastore di tante generazioni avellane dagli anni Cinquanta a Novanta con cui si andava in contrasto democratico, aveva ragione nel dire, così come spesso i padri dicono ai figli, “Mi piangerete dopo morto”. Sic stantibus rebus, ovvero stando così le cose - per la verità non bene -, quante persone, con il "culto" del mese di maggio, si sono fidanzate, "lasciate" o sposate, ed ora vivono, felicemente, con figli, nipoti e pronipoti? Certo, c'è indubbiamente chi, a distanza di anni, questo "culto" lo ricorda con piacere e chi, forse, in un momento di stizza familiare giornaliera, lo maledice e lo rinfaccia come giorno "infausto". Ad altri, invece, è rimasto solo un dolce ricordo amoroso, un rimpianto per non essersi capiti o una spensieratezza giovanile all'insegna di una squisita spontaneità d'altri tempi. E' un vizio dei nostri centri che va man mano scemando o è, purtroppo, scemato completamente; anzi per i giovani, attratti da ben altre cose, è già scomparso. E' solo delle anziane? Normalmente si chiamava il mese della Madonna. Ma, più che della Madonna, era il mese degli "incontri" e dei "germogli". La Madonna, in effetti, indirettamente, fungeva da "ruffiana". La chiesa assumeva la fisionomia di un salotto, di una "passerella", sia perchè ragazzi e ragazze si scambiavano sguardi danteschi, sia perchè ci si metteva in "mostra". Lo si faceva gareggiando nel leggere una preghiera, oppure col cantare tutti insieme attorno all'organo che si avviava con i pedali, divertendosi nell’ascoltare le preghiere in latine “struppiate, dalle nonne. La sacrestia era il "camerino" ed il "nascondiglio" di entrambi. L'orario, per l'entrata in chiesa, era fissato alle 18, ma già ci si trovava tutti nelle sacrestie molto, ma molto tempo prima e dopo ci si sostava tantissimo, perché a casa ci si giustificava dando la colpa al parroco che ci aveva intrattenuti con inutile motivo. Si familiarizzava sempre più col vice parroco e con le suore, anziché col parroco. Spesso si trovava anche il coraggio di confidarsi. Quando terminava la "funzione", si sostava in chiesa ancora un po', sotto gli occhi attenti delle "bizzoche". Dovevano capire gli "accoppiamenti". Dalla chiesa alla propria abitazione il percorso diventava lungo o lo si allungava con un giro larghissimo. La chiesa si addobbava con fasci di rose, che ognuno portava ogni sera, raccolte nei propri giardini. Oggi, incredibilmente, le chiese sono "sdobbate". I giardini "addobbati". Caratteristici del mese di maggio erano i fioretti. Si rispettavano sempre a metà. Ma mantenevano la fede. Ognuno si recava nella propria chiesa. Spesso qualcuno giocava "in trasferta". Altri aspettavano fuori. Spesso ci si "convertiva" e si entrava. Oggi è sempre maggio. Ma non se ne sente più il "profumo".
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