MARTA
di Roberta Iorio


  Marta era una bambina dalla vivacità incontenibile. Aveva occhi grandi come quelli delle protagoniste dei fumetti che splendevano sul suo viso tondo, circondato da una foresta di capelli castani. Con la sua irrequietezza voleva raccontare la sua rabbia e quel dolore sordo che le scoppiava in fondo al cuore e che neanche lei riconosceva. Non sapeva quando aveva avuto inizio quel suo travolgente star male, non ne ricordava la ragione e non  riusciva a dare un nome a quello che provava, ma sentiva un senso vago di ingiustizia e sopraffazione che l'avevano resa diffidente verso tutti, tanto da rendere il suo equilibrio interiore troppo precario, da doversi  sforzare per non perderlo. Ogni sofferenza era protesa a non farsi travolgere dal malessere e a ricordare prima a se stessa che era viva  e che pretendeva quell'amore di cui aveva come chiunque tanto bisogno e diritto; ciononostante spesso tendeva a lasciarsi andare, ad abbandonarsi, ad arrendersi all'odio, all'indifferenza e all'evidente incapacità di dare di chi è troppo impegnato a pretendere. La paura che si portava dentro da sempre non riusciva a ricondurla a niente di preciso, oltre alla sua legittima e confusa urgenza di sentirsi amata. "Ma se non può e non sa tua madre" si diceva "chi può farlo?". Suo padre era un uomo ordinario,banale,inutile e disorientato nei confronti di quella bambina che lo guardava con ostilità,in una muta e perenne  accusa. Fu lui a chiedere aiuto. Diceva che non sapeva occuparsi di sua figlia, che era consapevole dei suoi limiti e che la piccola aveva bisogno di una guida per la scuola, gli amici, il tempo libero. Lui doveva lavorare ed aveva turni che lo tenevano lontano anche la notte e sua figlia era difficile, strana, astiosa, diffidente: non sapeva come prenderla e del resto non aveva proprio tempo di stare dietro ad una bambina così aggressiva ed inquieta. Persino i nonni che avevano provato ad occuparsene nelle ore in cui lui era impegnato per il lavoro si erano arresi alla sua rabbia irrefrenabile, oscura e  inavvicinabile e non si sentivano capaci di tenerle testa. "Le vogliono bene, ma sono due persone anziane,non possono... e poi già si occupano dell'altro mio bambino, Luca che ha solo tre anni" diceva lui. "Loro lo hanno preso subito dopo il fatto e il bambino ha potuto reagire. Marta,no. Era presente quando sua madre si è suicidata. Subito dopo la tragedia l'abbiamo portata a casa di una zia materna  che se ne è presa cura fino a pochi mesi fa, ma poi  si è sposata e si è trasferita fuori zona con il marito. Io sono solo, ho troppi problemi, non so proprio come fare a gestire questa situazione".
La madre di Marta dicevano fosse una donna speciale: bella,intelligente, di grande sensibilità e talento, allegra ed esuberante. Sembra fosse una cantante e che da ragazzina andasse in giro per il quartiere coinvolgendo gli altri con la sua vitalità, canticchiando  e giocherellando. Quel ragazzo che la corteggiava le piacque subito: lui si lasciava travolgere dalla sua allegria,la lusingava per la sua bellezza,la portava a fare lunghe passeggiate, a ballare, al cinema, la ascoltava cantare estasiato e lei gli raccontava i suoi sogni e il suo desiderio di potersi esibire in grandi teatri, di viaggiare, conoscere altre culture, scoprire il mondo. Lui la ascoltava senza mai contraddirla, ma in realtà nemmeno la incoraggiava, considerando i suoi, teneri desideri di bambina. Lei interpretava il suo sorriso come un gesto di approvazione ed era felice che partecipasse dei suoi pensieri e delle sue  aspirazioni. Comprese dopo qualche mese di convivenza la prigione in cui si era rinchiusa e la distanza che la separava da quell'uomo; così cominciò lentamente ad estraniarsi da lui, prima, e dal resto del mondo, poi.
Aspettò Marta con l'indifferenza che si prova per qualcosa che non ci riguarda e non desta per noi alcun interesse,mentre il suo pancione cresceva e sembrava non appartenerle. Si aggirava per casa spenta, solo apparentemente impegnata nelle mille occupazioni domestiche. Smise di canticchiare e la sua allegria coinvolgente sembrava un ricordo lontano, mentre le urlava  nella testa sempre e solo l'unica canzone che le era rimasta impressa. Si guardava intorno come smarrita quando nacque sua figlia, infastidendosi della confusione che l'avvenimento aveva portato nella sua vita e quando la misero nelle sue braccia per allattarla guardò indifferente l'infermiera, si girò su un fianco e chiuse gli occhi. Si dedicò alla cura della bambina con la stessa indolenza con cui seguiva le altre faccende e benché la sua mente si allontanasse sempre di più da un mondo che non considerava il suo,nessuno si accorgeva di niente.
Suo marito dapprima ritenne il suo silenzio singolare conseguenza del cambiamento prodotto dal matrimonio, poi dalla stanchezza del parto, dalla fatica di crescere i figli, dallo stress della vita quotidiana, dalla situazione socio-ambientale... ma in fondo non gli dava grande peso. Era sempre fuori casa: il lavoro,gli amici,il bar,il pallone e quando era dentro leggeva il giornale sportivo o guardava cretinate in televisione. Si dice che il miglior sordo è quello che non vuol sentire: vale lo stesso per chi vede ma non sa guardare. Lei sempre chiusa nel suo mondo anche quando faceva sesso, e in quell'abulia che lui non sapeva riconoscere mai si ritrovò di nuovo incinta e per l'inevitabile scorrere del tempo nacque Luca. La confusione della sua mente divenne rumore insopportabile e nessuno ebbe più tempo per comprendere quanto andava capito prima. Luca era nella culla quel giorno e Marta in casa che provava a spiegare a sua madre cosa era successo a scuola, senza stancarsi e meravigliarsi mai che le sue risposte fossero solo sinistri sorrisi. Uscirono insieme fuori al balcone,la bambina parlava e parlava e parlava... Poi vide sua madre darle un bacio con un sorriso dolce stavolta. Marta la guardò stupita mentre le accarezzava i capelli e poi, senza dire una parola, salire con una strana agilità sulle grate del balcone e lanciarsi dal decimo piano. La bambina doveva essere rimasta ferma sul posto per tutto il tempo che era servito ad accorgersi del fatto, chiamare la polizia e salire in casa,perché era lì che l'avevano trovata.
Non ha mai più parlato di quel giorno, né di sua madre. I nonni non sapevano gestire il comportamento della nipote che, tra l'altro, picchiava continuamente il fratello (più piccolo, dicevano, che aveva bisogno di essere protetto!). In casa rompeva tutto,rubava e scappava continuamente, costringendoli a cercarla per ore e spesso coinvolgendo la polizia, senza contare che a dieci anni bagnava ancora il letto, sistematicamente tutte le notti. Loro non potevano prendersi cura di lei, perché alla loro età non erano in grado di affrontare una situazione che era palesemente difficile e poi erano già troppo occupati a proteggere il piccolino e quel figlio che alla sua età non era capace nemmeno di cuocersi un uovo. "Del resto,quando la zia materna è dovuta andare fuori e non ha voluto portarla con sé perché non la capiva e proprio non sapeva cosa fare con lei noi l'abbiamo accolta ma ora dobbiamo proprio trovare un'altra soluzione perché così non può funzionare" dicevano. "Luca, sì,vogliamo che resti con noi,è il nostro tesoro, buono, socievole, ubbidiente, studioso... Marta è diversa, povera bambina, è disturbata, dovete aiutarla voi". Marta ascoltò con attenzione le spiegazioni che provavo a darle per la necessità che andasse a stare con quelle suore, in quell'Istituto e sembrò persino sollevata di non dover tornare in quella casa, dove nessuno sembrava volerle bene davvero e con docilità si convinse che era un suo desiderio andare dove non avrebbe sofferto, come un anonimo rifugio perché era altrove che si aspettava e pretendeva un affetto e una considerazione che non sarebbero  arrivate mai.
Ascoltò le mie raccomandazioni e mi promise "che non avrebbe creato casini, che avrebbe studiato e non sarebbe scappata". "Non ne ho più bisogno"mi disse. Le ricordai che avrebbe dovuto incontrare ogni tanto una persona che poteva aiutarla a capire i motivi della sua rabbia. Mi rispose che voleva farlo perché ci teneva a diventare una persona "normale". Dopo qualche tempo anche Luca dovette raggiungerla in collegio perché il nonno morì e la nonna troppo anziana non poteva farcela da sola a badare a lui.
Suo padre era più spaesato che mai e la distanza creatasi tra lui e quei bambini era diventata troppo estesa. Marta si prese cura del fratello un po' come la madre che nessuno dei due aveva mai avuto, dimenticando la gelosia per quel bambino che suo malgrado le aveva tolto un'altra possibilità di essere amata.