QUANDO NAPOLI ERA CAMPIONE DI SPREAD
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di Francesco Vigilante Rivieccio

Un interessante articolo di Giuseppe Chiellino, pubblicato su IL SOLE 24 ORE del 3 luglio 2012, fa comprendere quanto sia difficile il processo che porterà all’emissione dei cosiddetti “eurobond”, cioè di titoli obbligazionari che rappresentino l’integrazione dei debiti sovrani dei 17 paesi che hanno deciso di condividere un’unica moneta, l’euro.
Nell’articolo l’autore cita uno studio di Stephaniè Collet sul precedente storico che sembra meglio avvicinarsi al processo d’integrazione finanziaria europea, cioè l’unificazione dei debiti sovrani dei sette Stati che 150 anni fa diedero vita al Regno d’Italia. La studiosa, storica della finanza presso l’ Universitè Libre de Bruxelles, considera l’esperienza italiana molto significativa, in quanto “come l’Italia di allora, l’Europa oggi è fatta di Stati eterogenei, con economie di dimensioni e condizioni diverse, che parlano lingue diverse e hanno sistemi di imposizione fiscale separati”. La Collet, con un lavoro lungo e certosino, ha esaminato 27 anni di quotazioni, a cavallo dell’unità d’Italia, dal 1847 al 1873 e (udite, udite!) ha scoperto che i titoli emessi dal Regno delle Due Sicilie (un quarto del totale) pagavano prima del 1861 i tassi più bassi, cioè il 4,3% , 140 “punti base” (= centesimi di punto) in meno dei titoli papali e di quelli piemontesi e 160 p.b. in meno rispetto a quelli del Lombardo-Veneto. In altri termini, lo “spread” (il differenziale di rendimento) premiava Napoli!
Scrive la Collet: “Come il Regno di Napoli [per l’Italia] prima dell’integrazione del debito sovrano, la Germania di oggi è l’economia più forte dell’Eurozona e beneficia del costo del debito più basso… Napoli era di gran lunga la città più importante del neonato Regno d’Italia”. Le regioni del Sud avevano una discreta struttura industriale, un’agricoltura fiorente sia pure basata sul latifondismo, e importanti porti commerciali. Subito dopo l’unità i mercati pretesero per i rendimenti dei titoli convertiti in “Regno d’Italia” tassi più alti (quello che teme oggi, per il proprio debito pubblico, la Germania): 260 punti base in più, che divennero 460 nel 1871.

Le considerazioni della Collet, certamente studiosa non accusabile di essere “di parte”, si prestano a riflessioni che possono essere, per chi è meridionale, motivo di orgoglio per il passato e di amarezza per quello che è diventato il Sud d’Italia, a cominciare dalla sua capitale, Napoli. Lungi da me considerazioni nostalgiche: certamente i Borbone ebbero grosse responsabilità, a cominciare, credo, dalla mancata comprensione dei processi storici in atto. E’ pur vero (e oggi appare un’osservazione ovvia) che la storia la scrivono i vincitori e che quindi buona parte della verità deve essere recuperata e fatta conoscere: un processo culturale oggi fortunatamente in atto.

Colgo l’occasione per ricordare brevemente alcune cose del sistema monetario del Regno delle Due Sicilie: non semplici curiosità, bensì elementi a sostegno di quanto sopra esposto.
Le monete in circolazione degli Stati italiani al momento dell’Unità ammontavano, numericamente, a 668 milioni (vedi tabella a lato): quelle del Regno delle Due Sicilie erano pari a 443,2 milioni , quasi il doppio di tutti gli altri Stati insieme. Nel 1818 Ferdinando I uniformò il sistema monetario del Regno,fino ad allora  diverso per la Sicilia rispetto alla parte continentale. L’unità di riferimento della moneta meridionale, la più solida d’Italia, era il ducato, presente in circolazione come conio di 10 carlini; un carlino equivaleva a 10 grana (dal latino “granum”: da qui il plurale “grana”); gli spiccioli erano rappresentati dal “tornese” (due tornesi = un grano) e dal “cavallo” (sei “cavalli” equivalevano ad un tornese). Le monete erano coniate in oro, argento e rame. I maestri incisori della Zecca di S. Agostino Maggiore erano così rinomati in Europa, per la bellezza delle loro realizzazioni, che i saggi di conio della Zecca inglese erano spesso inviati a Napoli per un parere tecnico. Tutto il sistema, nel suo complesso, era garantito in oro.