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di Nicola Montanile
Note di costume L'avvento del benessere ha cancellato un "simpatico" vizio nostrano. Era un vizio che ti maturava, che ti faceva saggio ed economico. Un tempo ci si vestiva un po' più da "cristiani" soltanto nei giorni di festa, ricorrenze e soprattutto la domenica. Comunemente si diceva: "ti sei vestito di messa cantata", oppure, ingenuamente: "hai messo gli abiti e le scarpe ra rummeneca". Il primo vestito ti veniva "confezionato" nel giorno della Comunione, ed era con i pantaloncini corti.Se si celebrava la comunione della sorellina, si andava vestito da sportivo. Il secondo vestito, invece, quando si sposava un parente, mentre il terzo in occasione del proprio matrimonio. Comprare un vestito o un abito qualsiasi era davvero un problema enorme e "faticoso". Ci si recava nei negozi, detti "magazzini", dei grandi centri con la mamma, la sorella, qualche volta anche la zia ed infine il malcapitato "indossatore", che non contava niente. Si faceva un'attenta analisi di tutte le vetrine e si tenevano presenti i principi vitruviani di "bellezza", "solidità" e soprattutto "utilità". Spesso, al povero indossatore, piaceva il primo vestito notato, ma in silenzio doveva sorbirsi altre vetrine. Non esprimeva mai un giudizio. Pena: "Stai zitto tu!". Si entrava in negozio. Iniziava il tormento per il negoziante ed in modo particolare per l'"indossatore". Il primo doveva esibire tutti i capi di abbigliamento. Il secondo, invece, "misurarseli" e, a forza di farlo, sudava tremendamente. Il "capo" doveva durare per molto tempo, ragion per cui si veniva tempestati di domande.Si domandava se era stretto, se faceva difetto al cavallo e si terminava, dicendo sotto voce: "Vedi bene, se poi non ti va più, t'accire". Andava bene e non era stretto. Spesso, però, il condizionamento lo rendeva incredibilmente tale. Finalmente si sceglieva. Ma non finiva qui. Si "tirava" sul prezzo. Il più delle volte significava rinunziare al vestito.Analogo era il procedimento per altri "vestiari" e per le scarpe, perchè bisognava trovarle intonate all'abito. Si riusciva a comprarlo ed era sempre a "soddisfazione", nel senso o troppo largo o troppo lungo. Si pensava alla "crescita". Lo si indossava, a casa, davanti alo specchio. Si cercavano gli atteggiamenti da mostrare in pubblico.Indossatolo nelle cerimonie, lo si riponeva nelle proverbiali palline di naftalina, in armadio. Non si poteva ingrassare. Dalla paura di questo pericolo, ti imponevano di metterlo più spesso. Allora lo si indossava in due fasi. Gli amici spesso sfottevano. Si usciva in piazza solo con pantalone e camicia. Di sera, con l'oscurità, ci si metteva anche la giacca. Il vestito si "voltava", si "rivoltava" ed infine lo si regalava ad un parente o ad un vicino di casa. Non ci si può permettere di farlo oggi. Ci si offende. Certo, oggi basta andare da soli in un negozio. Si compra un indumento e lo si indossa.Si torna a casa, e quello che si aveva addosso, nuovo o seminuovo, lo si... depone? Macché! Lo si getta. Vestiti, scarpe ed altri indumenti sono parenti stretti dei fazzolettini di carta. La Voce della Bassa Irpinia e del Cittadino - Anno VI Numero 16, 1 ottobre 1987
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