L’Almanacco di Enogastronomia e Turismo Culturale di Pianeta Gusto Campania, più che una guida al buon mangiare e al buon bere, è un vero e proprio baluardo dell’etica gastronomica e dei valori del territorio. Ogni quattro mesi i segreti delle cantine vengono svelati dalle recensioni di Pino Savoia, quelli di cucina da Gloria Gonzales, incaricata di raccogliere le ricette d'autore degli chef dei migliori ristoranti, quelli della ristorazione dalle incursioni gastronomiche di Antonio Fiore, alias il "critico maccheronico". E a chi avesse prurito di coniugare le esperienze enogastronomiche con un tuffo nella storia e nell’arte, l'almanacco offre itinerari ragionati dei luoghi provincia per provincia, con un occhio di riguardo agli eventi in corso. Si tratta insomma di un’esperienza culturale a 360 gradi: come scrive Gianfrancesco D’Andrea nell’introduzione alla pubblicazione di questa stagione, viene presentata “una Campania veramente da vivere, bere, gustare", con eventi "in grado di emozionare e avvicinare tante piccole realtà custodite nelle micro regioni interne". Lo stesso si potrebbe dire delle recensioni dei ristoranti, "Fiore" all’occhiello dell’almanacco, stilate in base a un elastico codice maccheronico che premia ristoranti e ristoratori con un ormai ambitissimo monte-fiori in base a parametri quali menu, vini, servizio, rapporto qualità/prezzo, hôtellerie, ambiente, cordialità, climatizzazione, toilettes e parcheggio. Praticamente nulla sfugge al critico maccheronico, che mostra di apprezzare “quel tocco femminile che sa dare il giusto valore a ogni dettaglio” tanto quanto i giochi di parole e gli appelli con cui ammicca sovente al lettore, coinvolgendolo direttamente nell’esperienza gastronomica. La lettura delle recensioni diventa una sorta di viaggio proustiano, in cui un particolare, un sapore, una suppellettile, una canzone riportano in vita ricordi di un passato personale e collettivo, memorie di nostalgiche sonorità, opere cinematografiche o letterarie che possono arricchire di suggestioni ciò che gravita anche attorno al pasto: il tragitto a destinazione, l’ingresso, le chiacchierate con i ristoratori, le rivelazioni degli chef… E così, si sorride quando un riccio diventa "un capriccio", un antipasto "una sonatina in tre movimenti", uno stuzzichino "un dettaglio rivelatore" pari a quello che "nel film hitchcockiano [Notorius] era una chiave nella mano della Bergman".
Fortemente ironico sul proprio coinvolgimento emotivo implicato nell’indagine gastronomica, Antonio Fiore, rigorosamente in incognito alla sua prima visita in un locale e rigorosamente mascherato agli incontri dei maccheronici (occhiali, sopracciglia, naso e baffetti alla Groucho Marx), è altrettanto rigoroso nell’emettere giudizi, mai influenzati da mode effimere o dal chiacchiericcio mediatico. Contribuiscono certamente alla positività del giudizio, oltre alla qualità del cibo e delle materie prime, la passione dei ristoratori, la loro volontà di migliorarsi e la gentilezza. Che si tratti di una cucina erede di una tradizione "alta" o "bassa", che si possa parlare di genialità dello chef o di "democrazia culinaria" poco importa, purché il risultato sia eccellente, mai banale né ossequioso ai dettami delle mode. Di conseguenza, se il critico maccheronico si sente spesso "in dovere" di bissare la visita in un certo ristorante dove sono state offerte pietanze particolarmente gustose e per ovvie ragioni di capienza dell’apparato digerente non ha potuto rendere giustizia a tutte le portate, a noi lettori viene voglia di ripercorrere passo passo l’avventura gastronomica: di ritrovare quelle stesse tovaglie, quegli stessi piatti, quegli stessi quadri e magari anche quegli stessi tristi polpi che malauguratamente quella volta avevano inficiato l’entusiasmo del nostro critico. E rimarremmo delusi a non trovarli più gommosi come ce li eravamo figurati oppure se il ristoratore non sintonizza la radio su quella "gracchiante" musica di Eros. Viene da chiederci se, tornando al nostro ristorante preferito, riusciremo a guardarlo con gli stessi occhi o saremo tentati dall’osservarlo con gli occhiali grouchiani di un esperto appassionato di gastronomia…
Laura V. R.
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Intervento del Presidente di Napolinternos Antonio Fiore mette insieme le parole come un grande chef usa gli ingredienti per creare un piatto straordinario. Il risultato è una critica di grande sapore: in altri termini, la piacevolezza al palato delle pietanze descritte si fa piacere per l'intelletto, grazie a una scrittura arguta, brillante, erudita, per altro "condita" da una garbata ironia. Ci appare piuttosto appropriata la scelta di Antonio Fiore relativa allo pseudonimo e al "logo". Lo pseudonimo è quello di GROUCHO FIORE, il "logo" è dato dalla stilizzazione di occhiali, nasone, sopracciglia cespugliose, baffoni e grosso sigaro che compongono la "maschera" di Groucho Marx. Nelle critiche di GROUCHO FIORE troviamo, quale piacevole "condimento", un po' dell'ironia e dell'essenza metafisica di quello che forse è stato il più grande dei fratelli Marx, creatore di un personaggio che è la parodia dell'uomo di mondo, distruttore che abbatte le ultime vestigia di una società ormai in sfacelo, nonché sarcastico maestro di giochi di parole (siamo in piena "Grande Depressione"... qualche analogia con la depressione di oggi?). Francesco Vigilante Rivieccio
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