di Giuseppe Manfra Se ancor oggi parliamo e ascoltiamo canzoni napoletane, ciò è segno di un popolo vivo che non dimentica le sue radici, che ha memoria, forza e volontà di andare avanti. Come recita un vecchio proverbio napoletano, ò napulitan se fa sicco ma nun more! … Così viene espresso, con chiarezza, il destino infame che attanaglia la maggior parte della popolazione napoletana: un destino amaro dove da più parti c’è sempre qualcuno che … rema contro! Tuttavia siamo un popolo di una inesauribile creatività, che trova sempre il modo di "arrangiarsi" e di opporsi alle avversità. Ma torniamo a noi: ho fatto questa premessa perché, quando parliamo di musica, necessariamente dobbiamo riferirci alla produzione napoletana. Essa, sebbene mutata, adattata e ripensata è presente nel presente con tutta la forza della tradizione. Ecco perché il popolo napoletano è un popolo vivo, perché non dimentica, ma al contrario comunica per il piacere di socializzare e trasmettere. Questa è cultura... ovvero siamo cultura. Pensate che la lingua e la canzone napoletana sono studiate all’estero dalle migliori intellighenzie che ne riconoscono il valore. Sono le scuole di canto e di dizione di lingua napoletana e finanche le istituzioni pubbliche che utilizzano le nostre canzoni per alcune celebrazioni ufficiali. Per esempio "Funiculì funiculà" viene eseguita in occasione del cambio della guardia al Palazzo Reale in Danimarca, allo stesso modo la famosa "Santa Lucia" è suonata dagli svedesi in segno di protesta contro la politica del vecchio regime. Da alcuni studi, le origini della canzone napoletana risalgono nientemeno che al duecento, con il famosissimo "Canto delle lavandaie del Vomero". E’ la prima di una lunga serie di composizioni popolari: le cosiddette "villanelle" che hanno qualificato Napoli e la sua passione per la musica. Un tempo a Napoli era consuetudine della gente canticchiare: un vero e proprio passatempo che diviene opera d’arte per i salotti delle famiglie nobili della Napoli dell’Ottocento. Così musici e artisti si appropriavano del canto popolare per farne melodia d’intrattenimento. Certo che le versioni originali perdevano il loro sapore naturale. Siete mai passati per Antignano, il mercatino del Vomero dove fruttivendoli e pescivendoli vendono la propria merce? Ebbene passateci! Sentirete una tempesta fragorosa di voci, strilli lanciati per raggiungere meglio il timpano del passante, il tutto condito con il brusio della gente che … prima di comprare vuole risparmiare (eccovi servita una rima, sono napoletano anch'io) e poi lo schiamazzo dei guaglioni … 'e piccirill che aiutano i genitori a sistemate cassette e cartoni … qualche portafoglio arrubbato e le grida del malcapitato: e guardie addo stanno e guardie! Allora cala il silenzio … nessuno ha visto niente e poi, dopo cinque minuti la musica ricomincia. Allora io vi domando si può mettere tutto questo su di un pentagramma? Il risultato non sarà mai bello come l’originale! Questo per dire semplicemente che le villanelle sono il vero valore e sapore della canzone napoletana. Certo non si discute il valore della produzione musicale di: Salvatore Di Giacomo, Ferdinando e Vincenzo Russo, Libero Bovio, E.A. Mario, Ernesto Murolo e numerosi altri ma diciamo semplicemente che manca il sapore originale in quanto sono adattamenti pianificati ed elaborati a tavolino. Le villanelle, al contrario esprimono il sentimento vivo e vero del popolo napoletano: è la tradizione orale che diviene naturalmente musica e trasmette attraverso le sue canzoni, la propria identità. Un classico esempio è "Michelemma" e "Lo Guarracino" che raccontano l’intreccio amoroso ambientato nei mari del golfo di Napoli: un avventurosa melodia fatta delle voci e dei suoni della vita dei pesci del mare, descritta in fantasiose vicende che fanno battere i cuori impavidi di chi si avventura nel mare; sono, ancora, le voci delle lavandaie che canticchiando canticchiando, compongono naturalmente un incantevole melodia che dalle strade del Centro di Napoli risuona fino al Vomero, dove andavano a servizio dei Signori e dei Possidenti; avrete capito che mi riferivo al "Canto delle lavandaie del Vomero". Questo modo naturale di comporre non morirà mai sono le esperienze, tra terra e mare, tra mercati e giornate piene di sole, sofferenze e gioie raccontate grazie ad un buon bicchiere di vino che hanno prodotto i migliori componimenti. Direbbe Vincenzo Leone, poeta e scrittore napoletano del 900, "In vino veritas", riferendosi ad una sua poesia dedicata al piacere del degustare il vino, e penso che tutti siamo d’accordo con i suoi versi, specialmente con quelli della poesia "Voce 'ntrecciata", che narra delle fatiche dei muratori che spesso si dilettano a cantare per alleggerire il peso della fatica e tra tutte queste voci, il rumore delle cazzuole, la cardarella tenuta in spalla dai muratori dipinge un quadro che solo Lui, poeta di strada, poteva affrescare. Auguri Vincenzo, speriamo che delle tue poesie facciano canzoni, noi ti aspettiamo per cantarle tutti insieme.
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