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di Antonella Pagano Sabato 5 Dicembre abbiamo avuto l’opportunità eccezionale di visitare alcune case di Pompei, restaurate da poco e ancora chiuse al pubblico. La nostra guida è stata la dottoressa Paola Rispoli, architetto responsabile dei restauri, che ci ha spiegato alcune tecniche impiegate nel delicatissimo lavoro di recupero e cura di edifici così antichi, esposti a tutti i danni provocati dagli influssi meteorologici e dalle folle di turisti (con oltre un milione di visitatori all’anno, Pompei è il secondo sito più frequentato d’Italia, dopo il Colosseo). Il primo edificio in programma era la Casa di Casca Longus (il nome del proprietario ci è noto perché è inciso su alcune belle gambe di tavolo marmoree, a forma di zampe e teste leonine). La casa viene chiamata anche dei quadretti teatrali per le pitture che decorano le pareti dell’atrio. Su un delicato sfondo azzurro spiccano infatti dei quadretti affrescati con scene di teatro. Il tema del teatro nelle opere d’arte era molto diffuso a Pompei, e sono stati trovati molti affreschi e mosaici con scenografie e attori col volto coperto dalla maschera. La maschera a teatro aveva una doppia funzione: serviva, come una specie di cassa di risonanza, a rafforzare la voce dell’attore, ma anche a rendere più evidente il suo ruolo; gli attori erano tutti uomini, e c’era bisogno che qualcosa rendesse immediatamente riconoscibili i ruoli femminili; inoltre grazie alle maschera venivano caratterizzati anche i tratti psicologici (lo sciocco, l’innamorato, il cattivo…). Trovo molto interessante che la parola latina per “maschera” sia persona, (da personare, risuonare), con evidente riferimento alla funzione acustica della maschera, mentre “persona” nella nostra lingua significa individuo, personalità. Nell’etimo è dunque implicito il collegamento fra l’individuo e la sua maschera, la consapevolezza che la nostra personalità viene caratterizzata soprattutto dal ruolo che mostra al mondo nel grande teatro della vita… ma ciascuno se vuole può andare avanti con le proprie riflessioni “personali” sul tema. Tornando alla casa, nell’atrio è stato ricostruito il tetto, e ci è stato spiegato il sistema di raccolta dell’acqua piovana, usato fino alla costruzione dell’acquedotto in età augustea. Da un’apertura quadrata nel tetto, le cui falde erano inclinate verso l’interno (compluvium), l’acqua cadeva in una vasca sottostante (impluvium) e veniva conservata in una cisterna e attinta da un pozzo. In questa casa la vera del pozzo è di terracotta decorata con testine di leone. Il compluvium serviva anche per l’illuminazione e l’aerazione, giacché la casa romana tipica aveva pochissime finestre rivolte all’esterno, quasi sempre molto piccole. In compenso c’era spesso un giardino interno, in origine usato come orto, più tardi con funzione estetica e per l’otium, abbellito con piante ornamentali, colonne e opere d’arte.In uno dei cubicula c’è un magnifico soffitto affrescato con fiorellini su fondo rosso. La seconda casa in programma era la Casa degli archi, scoperta negli anni ’50 e scavata solo in parte. La singolarità di questa casa, piccola ma molto graziosa, sono gli archi del peristilio, piuttosto insoliti in una casa romana. Poi abbiamo visitato la Casa di Pinarius Cerialis (detta anche di Ifigenia), appartenuta a un gemmarius, ossia un intagliatore di pietre preziose. Nella casa è stata ritrovata infatti una cassetta con un piccolo tesoro, 114 pietre tra cui corniole, agate, ametiste, conservate nel Museo Archeologico di Napoli. Purtroppo questa casa fu colpita da un bombardamento durante la seconda guerra mondiale, e due ambienti affrescati furono distrutti. Restano però tre stanze con pitture in buono stato, e una di queste colpisce per la grandiosa decorazione teatrale con una scena di Ifigenia in Tauride. L’architettura dipinta è di rara finezza, resa in diverse tonalità e ornata di tralci, festoni, centauri e sirene. La nostra tappa successiva, la Casa del moralista, è detta così per alcune scritte trovate sulle pareti del triclinium, che esortano gli invitati maschi a non fare gli occhi dolci alle mogli degli altri ospiti. Il triclinio è appunto l’ambiente più interessante e meglio conservato (anche questa casa fu bombardata). Lungo tre pareti ci sono dei letti in muratura, su cui si disponevano materassi e cuscini, e qui giacevano i commensali affiancati. Al centro c’è un tavolo, sempre in muratura, su cui si disponevano le vivande. Una curiosità: a Mussolini in visita a Pompei fu offerto un pranzo in questo triclinio. In questa casa abbiamo avuto anche la possibilità di inerpicarci al secondo piano (i piani superiori a Pompei sono molto rari) per ammirare un dipinto con la scena di Arianna abbandonata da Teseo (che lei aveva aiutato nell’impresa del Minotauro) nell’isola di Nasso. A proposito, sapevate che l’espressione piantare in asso (in origine in Nasso) deriva proprio da questo mito? Dal piano superiore abbiamo anche goduto una prospettiva diversa delle rovine, e abbiamo immaginato di essere antichi pompeiani che si godevano l’andirivieni della strada sottostante. Arriviamo ora al gioiello più prezioso, ovvero alla Casa di Marco Lucrezio Frontone, con affreschi magnifici in molti ambienti. L’atrio è decorato in terzo stile, molto elegante. Su fondo nero spiccano minuscoli animali – chiocciole, scimmiette, cervi, leoni alati. Sulle pareti del tablinum, completamente coperte di affreschi, ci sono singoli quadretti con scene mitologiche (Marte e Venere, e un corteo bacchico) e ville con paesaggi. Una stanza è dipinta di un giallo caldo e luminoso, con teste di divinità racchiuse in tondi e amorini. Nelle altre stanze ci sono splendide scene mitologiche, dipinte finemente. Anche il giardino ha muri dipinti con scene di caccia. Vi si riconoscono molti animali esotici - leoni, orsi, pantere – oltre a tori, daini e cinghiali. Le scene di caccia erano frequenti nella decorazione pittorica (ma anche scultorea) dei giardini, e altri affreschi su questo tema li abbiamo visti nella seguente e ultima casa in programma: la Casa dei gladiatori, detta così per le numerose armi gladiatorie lì ritrovate. Sazi di tanta bellezza, ma con la voglia di tornare e scoprire altri tesori nascosti, abbiamo concluso questa interessantissima visita. Ci si augura naturalmente che tutto l’impegno e la dedizione volti al restauro di questi edifici possano presto arrivare all’obiettivo più naturale, cioè la fruizione da parte del pubblico. Ma la dottoressa Rispoli ci ha spiegato che la situazione a Pompei, per quanto riguarda il personale di custodia, è drammatica. Le nuove assunzioni dipendono dal Ministero che non bandisce nuovi concorsi; così, man mano che i vecchi custodi vanno in pensione, non vengono rimpiazzati da nuovi, e il personale di sorveglianza diminuisce drasticamente. Per questa ragione molte case vengono tenute chiuse. Purtroppo il calo delle nuove assunzioni riguarda anche gli archeologi e i restauratori specializzati. Pompei si trova quindi in una situazione paradossale: come Sovrintendenza autonoma con diritto di disporre dei propri introiti, che sono notevoli, potrebbe offrire ai visitatori molto di più rispetto a quello che attualmente è visitabile, ma purtroppo il blocco delle assunzioni rende la situazione piuttosto stagnante. Speriamo bene. Qualche cenno sulla storia di Pompei Fondata verso il 600 a.C., nei primi due secoli di vita fu una cittadina a cultura mista greco-etrusca; alla fine del quinto secolo a.C. fu occupata dai Sanniti, un popolo delle montagne; alleata dei Romani, nel primo secolo a.C. partecipò alla guerra contro Roma insieme ad altre città federate; sconfitta da Silla, fu occupata e divenne colonia romana; nel 79 d. C. fu completamente distrutta dalla famosa eruzione, insieme ad Ercolano, Stabia e Oplonti; dimenticata per molti secoli, fu riscoperta nel 1748 sotto Carlo di Borbone, che ne finanziò personalmente i primi scavi; gli scavi sono continuati per oltre 250 anni e non sono ancora terminati. Circa un terzo dell’antica Pompei è ancora da scoprire.
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