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di Ivo Zunica
Stavolta l’ho fatta grossa (pare). Ho fatto uno scivolone (sembrerebbe) sul pendio oltremodo scivoloso del più bieco maschilismo. Il che mi è costato una reprimenda velata (ma non troppo) da parte di alcune signore, compresa mia moglie, che invece non si è risparmiata epiteti come “ottuso maschilista” o semplicemente “emerito cretino”. Insomma, che cosa ho combinato? Vediamo anzitutto il fatto, anzi, il fattaccio di cui sono imputato. Dunque, bazzicando qua e là, come càpita, su uno dei più noti “social”, mi sono imbattuto in un cosiddetto “post” che mi è parso divertente e così, di slancio, l’ho “condiviso”, come si dice in gergo, cioè l’ho pubblicato a mia volta. Il post ritrae un’assai formosa e giovane donna fotografata di spalle, a figura intera, e rigorosamente vestita da capo a piedi. Anzi, no: apparentemente vestita. Sì, perché l’avvenente e curvilinea ragazza indossa un pantalone-calzamaglia talmente aderente e sottile da evidenziarne addirittura separatamente le due metà del fondoschiena, indubitabilmente oltremodo enfatico, abbondante ed armonioso. Al di sopra dell’immagine campeggia una scritta che recita: “Oggi parleremo di questa…” (e il riguardante immagina che ci si riferisca all’estatica visione). Ma poi, facendo scorrere l’immagine verso il basso si capisce che la scritta è completata da un’altra frase sorniona che dice: “…splendida ringhiera in ferro battuto tutta lavorata a mano”. E infatti davanti alle ginocchia della ragazza si estende orizzontalmente una ringhiera di quelle che recingono talvolta le aiuole. Come a dire: ma cosa stavate guardando, eh, malandrini? Dunque, come si vede, si tratta di uno scherzo, con virtuale strizzatina d’occhi, lo ammetto, al pubblico soprattutto maschile, che rimane inevitabilmente colpito dalla bellezza di quella immagine femminile, altro che ringhiera. Aver condiviso tale immagine mi è stato contestato a un dipresso come una sprezzante offesa al genere femminile. Ora, mi si consentirà almeno il diritto di replica, anzi, il diritto costituzionalmente garantito all’autodifesa. Potrei cominciare col dire che quella foto non l’ho mica scattata io, ma, come altri che l’hanno “postata”, io mi sono limitato a “copiarla”. Tuttavia questo non mi emenda, me ne rendo conto, dall’accusa di correità. Allora osserverò che in ogni caso quella foto non è stata affatto colpevolmente carpita in un luogo riservato e segreto, bensì in una pubblica e verosimilmente affollata piazza o via, dove l’avvenente fanciulla fa mostra, urbi et orbi, delle proprie pregevolissime rotondità (virtualmente nude, come detto). La qual cosa, per ciò che mi riguarda, era liberissima di fare. Ma se una donna mette in mostra e in piazza una siffattamente formosa carrozzeria (così si diceva, un tempo, maschilisticamente) in mezzo alla folla, mica si può poi pretendere che gli altri non la vedano, anzi, che non la guardino e magari non si lascino scappare magari uno scatto fotografico. Mi pare. È evidente che chi si porta in giro una così sinfonica anatomia, inguainata come in un guanto attillato ed aderente, non lo fa, verosimilmente, per nasconderla: lo fa, piuttosto, per farsela ammirare, l’anatomia. Oppure no, magari non lo fa neanche per questo, ammettiamolo pure: ciò nondimeno non può certo immaginare (me lo si conceda) che i passanti, e segnatamente quelli maschili, non provino un moto di spontanea ammirazione unita a una sia pur fugace contemplazione. Mi pare. Va bene, mi si obietterà, ma tu perché hai condiviso una siffatta immagine? E perché no?, rispondo io. È stata una leggerezza? Sarà, ma lo ripeto: non siamo mica a cospetto di un’immagine intima e privata, surrettiziamente trafugata. D’altro canto – posso dirlo? – si tratta pur sempre di un’immagine piacevolissima, quanto, direi, un bel viso, un paio di begli occhi o perfino una qualunque altra bellezza della natura. Oppure, se si preferisce, si tratta di una di quelle visioni per cui ai maschi scappa spesso di darsi discretamente di gomito o di scambiarsi un’occhiata eloquente di apprezzamento muto, come a dire: guarda che bellezza! E dunque? È questo il reato?... Ora, qui c’è un’altra vulgata da sfatare. Le donne, si sa, assai più degli uomini curano il proprio aspetto fisico e il proprio abbigliamento. Lo fanno pure gli uomini, s’intende. Ci si sforza di vestirsi con cura ed attenzione anche per rispetto verso gli altri e poi perché non dispiace quasi a nessuno non dispiacere altrui. Ma le donne (concedetemelo) lo fanno assai di più, enfatizzando le proprie doti fisiche, oltretutto, con sofisticati espedienti (non a caso denominati trucchi) cosmetici (il che non è certo cosa disdicevole ma – me lo si concederà – è sicuramente un fatto). E sì, d’accordo, anche diversi uomini usano prodotti cosmetici, ma andiamo: non c’è gara. Per esempio: quanti uomini tingono i propri capelli bianchi (se ce li hanno)?... E quante donne invece non tingono i propri capelli bianchi?... Insomma, devo continuare? O non è palmare che le donne sono use farsi belle assai di più e con più arte di quanto non facciano gli uomini? Sennonché, poi assai spesso esse vanno dicendo in giro che “lo fanno per se stesse”, per “stare bene con se stesse”. Posso avanzare qualche sommesso dubbio in proposito? Posso azzardare che, insomma, ci si fa belle anche, vivaddio, per piacere agli altri e che questi altri sono, preferibilmente, gli uomini? Il che, come ci suggerisce il buon senso, lungi dall’essere un reato, è cosa pregevolissima e oserei dire del tutto naturale (e naturalmente non mancherà chi sostiene che tale inclinazione delle donne è un portato della cultura e della storia, e non della natura e della biologia; ma ci crediamo veramente?). Se poi una rappresentante del gentil sesso si agghinda addirittura in maniera non solo elegante e piacevole ma altresì conturbante (e vi risulta che ciò sia cosa tanto rara?) ecco che allora (non ci nascondiamo dietro un dito) lo fa per piacere agli uomini, altro che a se stessa. La qual cosa, di nuovo, non è affatto un reato, anzi, è una cosa bellissima. Ma non raccontiamoci poi, per piacere, che non lo si fa per mettersi in mostra, per farsi guardare, per farsi ammirare (minimo minimo). Or dunque, se poi accade che io, o altri, ti guardino e in cuor loro (in cuor loro, beninteso – per carità!) ti apprezzino anche, ebbene perché mai costoro dovrebbero essere additati al pubblico ludìbrio come dei porci? Guardare, apprezzare, ammirare non equivale certo a palpare le natiche o, che so io, a fare degli apprezzamenti espliciti e volgari sulle grazie muliebri di turno e di passaggio. E tuttavia, da parte di talune donne (e non sono poche) s’immagina (in modo non poco contraddittorio, peraltro) che gli uomini, per essere “politicamente corretti”, dovrebbero magari girarsi dall’altra parte, quando passa un’avvenente ragazza con le sue bellezze abbondantemente in mostra, o magari dovrebbero chiudere gli occhi oppure coprirseli con le mani o forse addirittura non osare nemmeno permettere che faccia breccia nell’anticamera del proprio cervello un pensiero come “Accidenti, che bella ragazza!”… Ma andiamo, un po’ di buon senso! Dietro molti risentimenti femminili contro i (presunti) atteggiamenti maschilisti degli uomini (che invece sono solo atteggiamenti maschili) ci sono veri e propri deliri puerili o iperbolici di pura e semplice ipocrisia. Alla faccia del politically correct. (Altro mito conformista – quest’ultimo – e travisato del nostro tempo. Ma questo è un altro discorso).
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