25-28/4/2013 - La Rivoluzione Napoletana rivive in ACINO DI FUOCO
There are no translations available.

Napoli 1799. Nella taverna Acino di Fuoco varia ed eterogenea umanità è in cerca di un momento di ristoro per il corpo e l’anima. S’incontrano lazzari o capolazzari, prostitute, letterati o filosofi, uomini e donne comuni, tutti immersi in un humus di simbiosi tra genialità, bestialità e nobiltà. E tutti intenti a dosare ed equilibrare veleno e indole acuta per raggiungere, se non proprio la felicità, almeno una vita dignitosa. Tra tutti spicca Eleonora con la sua consapevolezza e speranza di veder nascere l’uomo nuovo.


ACINO DI FUOCO - da giovedì 25 a domenica 28 aprile 2013 al Teatro De Poche, via Salvatore Tommasi 15, Napoli
Informazioni e prenotazioni: Teatro De Poche, tel. 081.5490928.

Leggi la recensione di Michele Di Donato: L'immaginario di un popolo...



Note di regia


Gennaro: «Con il popolo e i lazzari dovremo fare i conti prima o poi. Mi sono spesso chiesto cosa faranno, se i Francesi ci aiuteranno a liberare Napoli. Cosa abbiamo da offrire noi? Cosa guadagnerebbero che già non credono di avere».
Eleonora: «Nessun cambiamento va a buon fine e dura il tempo necessario a dare frutti, se non è capito e condiviso dal popolo o se il popolo ne viene escluso. Dobbiamo saper parlare concretamente al popolo, che è come un bambino selvaggio, spaventato. Non illuderlo o, peggio, insospettirlo con belle parole che non possono comprendere, insegnargli a riconoscere chi veramente lotta per liberarlo e chi, invece, cerca solo il proprio tornaconto. Prima, però, è indispensabile liberarli dall’oppressione della miseria, dall’insicurezza di poter soddisfare i bisogni elementari, prima che gli oppressi diventino i nuovi oppressori e tutto resti immutato.
Gennaro: «Prima che nuovi invasori, con il miraggio di creare per tutti, anche per il popolo, un’unica ricchezza, approfittando con la forza delle nostre debolezze, riescano a condizionare a loro vantaggio le nostre vite e a depredarci dei beni di questo regno».

Le riflessioni fatte da Gennaro e Eleonora dopo un incontro con i lazzari esprimono solo parte dei dubbi che cercavo di dirimere, le domande cui cercavo di dare una risposta, leggendo e studiando saggi, romanzi e documenti di quel periodo della storia di Napoli, tra la fine del 1700 e l’inizio del 1800.
Ho visto, allora, un popolo, da secoli dominato da altri popoli, capace sì di trasformare ‘O fele d’’o tuosseco,‘o ddoce d’’o speziale in genialità, ma pagare alla creazione di tale anticorpo, al virus della sofferenza letale un tributo enorme: T’ha fatt gginiale ma t’hanno avvelenato l’anema.
E ancora: ho visto un popolo “gravido” le cui doglie secolari non riescono a “partorire” – vuoi per proprie incapacità e/o colpe, vuoi per le violenze subite nel passato e per quelle sofferte oggi, anche da se stesso, forse le più crudeli – un nuovo «Pulcinella che senta il bisogno di mettersi in condizione di non dover mendicare il cibo, di non dover sperare solo nella generosità del suo padrone, un Pulcinella che conservi tutte le sue capacità geniali di superare le difficoltà della vita ma diverso, non più servo».
Insomma, un popolo fautore e artefice del proprio destino fatto di dignità, giustizia, uguaglianza, libertà.
Ho immaginato, quindi, un popolo in procinto di partorire che, pur se sottoposto alle lusinghe e alle false promesse di sirene che cercano di farlo abortire (dal “Canto delle Sirene” dell’Odissea di Omero), tenta disperatamente, con sofferenza spesso nascosta dietro la maschera della superficialità e impregnata di genialità, di resistere con propositi e invettive (dal “Timone d’Atene” di William Shakespeare) e portare a termine la sua gravidanza.
Ci riuscirà? Forse un giorno gioverà ricordare…
Ho voluto rappresentare tale sofferenza.

Mario Pirera

 

 
  • Napolinternos
  • Napolinternos
  • Napolinternos
  • Napolinternos