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a cura di Francesco e Laura Vigilante Rivieccio - 21/6/2012 [I.:] Recentemente sei stato invitato a Nisida a offrire una sorta di sponsorizzazione morale del teatrino di Eduardo. Vorremo sapere le tue impressioni e valutazioni sulla struttura carceraria. [G.:] La mia impressione è stata molto positiva e in effetti corrisponde ai racconti e alle cronache da cui avevo già ricavato un’idea. Ho trovato, da parte del personale e del dirigente, fermezza, autorevolezza e al tempo stesso umanità; il clima in generale è sereno e ciò sicuramente è merito di chi la dirige. Ho visitato tutti i laboratori: di ceramica, artigianato presepiale, teatrale, di cucina… E finalmente ho potuto toccare con mano quanto avevo letto o sentito. Sono rimasto colpito molto positivamente, tant’è che posso dire fin d’ora che ripeterò l’incontro.
[I.:] Parliamo dell’incontro coi ragazzi nel teatrino. Che cosa ti ha colpito in particolare? Come si è svolto l’incontro? [G.:] All’insegna di una reciproca simpatia. Ritengo fondamentale, in posti come questo, catturare subito l’attenzione e mantenere alto l’interesse. Se quella mattina sono riuscito a creare subito un feeling, è anche perché ho evitato i toni da sermone, da predicozzo, della serie “lo so che nella vita si può sbagliare…”. Chissà quante volte questi ragazzi si sono sentiti dire cose del genere. Ovvio che chi è recluso sia cosciente del fatto che il motivo è perché ha sbagliato. Non tocca a chi va là per una lezione di teatro fare questo tipo di morale. Io invece sono entrato immediatamente nel vivo della questione, ringraziandoli anzi, perché attraverso loro mi sono avvicinato a Eduardo, cosa che prima, per lo scarto generazionale, non mi era stato possibile (non ho avuto la fortuna di lavorare con Eduardo). Ho esordito così: “Vi ringrazio perché mi date l’opportunità di sedere vicino a Eduardo, che per me è stato ed è il massimo”. Ho cominciato parlando di Eduardo, leggendone qualche poesia, e ciò ha stuzzicato subito l’interesse dei ragazzi. Poi l’ho buttata più sul ridere, sdrammatizzando, alternando momenti di “evasione” a momenti più drammaturgici, come la lettura di ‘Fravecatore’ di Viviani o di brani e poesie di Eduardo stesso. Questo approccio è piaciuto molto, tant’è che i ragazzi mi hanno chiesto di tornare a tenere altre lezioni, cosa che mi sono ripromesso di fare dopo l’estate.
[I.:] Che valore possono avere per i ragazzi incontri o lezioni del genere? [G.:] Questi incontri sono utili, oltre che a tenere i ragazzi impegnati, a far capire loro che un recupero è possibile e necessario. Non sarà il primo e ultimo caso in cui ragazzi all’uscita da istituti penitenziari riescono a immettersi su percorsi artistici, grazie ai laboratori interni che li aprono alla scoperta delle proprie attitudini e capacità. Imparano a leggersi dentro. L’incontro deve essere basato su questo: sostituire al culto del denaro, del successo a tutti i costi, del fanatismo, la cultura dell’anima, che può essere cultura del teatro, del lavoro, dell’impegno... La lezione, al di là dell’argomento più strettamente tecnico, consiste nel sostituire la cultura dell’animo alla corsa esasperata alla firma, al marchio, al successo. Chi riesce a capire questo non rischia di ricadere in errore; chi non ci riesce è facile che ci ricaschi e a me dispiace molto, perché molte volte si tratta di anime buone. Insegnanti ed educatori raccontano che possono essere i più promettenti a tornare dentro. Se si riuscisse, anche attraverso questi incontri, a far capire che è la cultura dell’animo quella che conta, i risultati sarebbero molto migliori. Io sono molto contento di averlo fatto e ho trovato subito una corrispondenza perché l’ho cercata sul piano più congeniale a me. Sapevo di giocare “fuori casa”, perché in questo momento non sono uno che fa tendenza, non sono un cantante di grido, né faccio “Amici”, né sono un target da individuare. Però con la mia storia teatrale, la mia età e, devo dire, anche grazie a “Un posto al sole”, la sintonia si è creata facilmente.
[I.:] C’è stata qualche domanda che ti è sembrata più interessante o provocatoria? [G.:] Dopo aver parlato della differenza tra lavoro e fatica, uno dei ragazzi mi ha chiesto se chi fa teatro lavora o ‘fatica’… una provocazione molto intelligente. Sono ragazzi intelligenti, la strada è stata loro maestra, hanno una laurea da marciapiede: sono scaltri, svegli… hanno una marcia in più. Ci sono state domande stimolanti, che hanno agevolato il contenuto della chiacchierata, denotando un certo interesse per il personaggio e per la mattinata. Anche la disposizione dei posti in cui eravamo seduti ha favorito un sentimento di confidenza e apertura: io non ero sul palcoscenico, in una posizione di superiorità, ma tra di loro, come un amico più fortunato che stava a chiacchierare.
[I.:] Abbiamo visto che a Nisida si fanno molti laboratori: cucina, pasticceria, teatro, ceramica, artigianato presepiale… Secondo te un laboratorio teatrale può avere un valore aggiunto, una marcia in più? [G.:] Certo, nella misura in cui al culto della città perfetta, super specializzata, delle espressioni dogmatiche si sostituisce una cultura dell’anima, dove nulla è già perfetto, ma va reso perfetto, migliorato, costruito. I laboratori sono tutti strumenti per migliorarsi e per scoprire delle attitudini e sono importantissimi, non solo perché tengono impegnati alcune ore della giornata, ma perché fanno scoprire attitudini e interessi da capitalizzare e utilizzare nel momento in cui si esce fuori.
[I.:] Secondo te il teatro può essere una sorta di sfogo per i ragazzi? [G.:] Sicuramente può essere una valvola di sfogo, anche fisico, e soprattutto un certo tipo di teatro fatto di fisicità, di corpo a corpo. A Nisida questo viene sviluppato molto, come mi raccontava l’insegnante. Ma soprattutto il laboratorio teatrale diventa occasione per rendersi conto delle proprie attitudini e delle proprie vocazioni, inclinazioni che a volte non capitalizziamo e restano passioni soffocate. Sfruttarle può essere una strada da intraprendere una volta usciti.
[I.:] Il tuo sarà il primo di una serie di incontri. Come immagini quelli futuri? [G.:] Come questo, sulla stessa lunghezza d’onda, fatto di chiacchierate, riflessioni e momenti di teatro, in cui tra l’altro si sono esibiti anche loro. Non dimentichiamo che mi hanno presentato uno spaccato dello spettacolo che è stato proposto a un pubblico esterno, un pezzo di Viviani. Poi in un secondo momento potremo anche andare in palcoscenico. Per ora mi piace pensare che Nisida, da piccola isola, possa diventare un arcipelago dove le parole e le azioni diventano forza d’amare e speranza nel futuro, nella vita che cambia e che migliora. Con questa riflessione li ho lasciati, salutandoli da uno dei posti più belli del mondo; perché dal terrazzo di Nisida si può sognare, si può guardare avanti, al futuro, come in volo sul mare. E proprio quel posto, così difficile, offre uno scenario che aiuta a volare.
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