22 Settembre 2011
GINO RIVIECCIO IERI, OGGI, DOMANI: quali sono stati i punti più significativi della tua carriera, ormai più che trentennale, cosa hai in programma per oggi e quali sono i tuoi piani per il futuro?
Ieri, oggi e domani mi fa pensare al famoso film di De Sica con la Loren e Mastroianni (uno dei miei preferiti per altro). Con una battuta potrei dire che ieri ero un uomo molto più giovane, con molti più capelli, qualche pensiero in meno, qualche responsabilità in meno… Oggi affronto la vita e il quotidiano, com’è giusto, con rispetto, con le preoccupazioni, anche con le ansie che in questo momento abbiamo tutti pensando al futuro, in particolar modo a quello dei nostri figli. Il domani è incerto, perché ho la sensazione che la vita sia diventata più difficile per tutti, non solo dal punto di vista economico, ma piuttosto dal punto di vista morale. Non si riescono più a fare le cose con la stessa semplicità di prima e questo vale per tutti, per qualunque tipo di lavoro.
Dal punto di vista professionale ho iniziato nel 1979, se non contiamo gli anni del liceo, in cui giocavo a fare le imitazioni dei professori e formai un primo gruppo di cabaret con i miei compagni di classe, i “Caballegri”… Ma partiamo dal mio debutto al teatro Sannazaro. Il mio primo contributo – giacché i discorsi su contributi e pensioni sono quanto mai attuali… - il primo contributo mi è stato versato il 25 ottobre 1979 dalla Compagnia Stabile del Teatro Sannazaro di Nino Veglia. Debuttai lì con Luisa Conte e Pietro De Vico; lo spettacolo si chiamava “Mettimmece d’accordo e ce vattimmo”. Sono passati 32 anni da quell’esordio al Teatro Sannazaro, che è stato la mia palestra, poi ho fatto delle scelte che mi hanno portato a lavorare individualmente… Sono tornato al mio primo amore, cioè a fare il single, nella vita come nella professione.
Nell’84 con la laurea mi sono trovato ad un bivio. Mi dissi: “Utilizzo la laurea e faccio l’avvocato o continuo a fare quello che sento dentro?”. E forse Dio ha deciso per me, perché ho incontrato le persone che mi hanno riportato sul mio percorso, anche se dentro questa attitudine è sempre rimasta. Infatti, dopo la laurea, anziché praticare presso uno studio legale, lo facevo in palcoscenico; continuavo a dedicarmi al teatro, senza avviare lo studio per il concorso da avvocato. Forse era destino che dovessi fare questo.
La svolta c’è stata nell’86, quando vinsi il festival del cabaret di Loano, cosa che m’è valsa una scrittura in Fininvest e sei anni di lavoro per la televisione. Insomma, il concorso è stato decisivo, mi ha fatto capire che potevo continuare con questo mestiere. Dal ’92, dopo l’ultima esperienza in Rai col Cantagiro, sono tornato al mio primo amore, il teatro. Nel ’93 c’è stato un incontro memorabile con Dino Verde, un padre della comicità italiana e napoletana che per me è sempre stato un sogno poter conoscere. E per me ha riscritto uno spettacolo che aveva portato al successo negli anni ’80 con Pippo Baudo, Elio Pandolfi e Alighiero Noschese, “Scanzonatissimo”, adattandolo per la compagnia di giovani da me capitanata. Avemmo un grandissimo successo, tale da fare una seconda edizione nel ’94 e poi una serie di spettacoli...
In questi anni ho cercato di impreziosire il mio lavoro, di maturare, affinandomi nei concetti e nei contenuti. Sono sempre legato a quel tipo di teatro leggero, pur avendo fatto anche esperienze diverse. Eppure credo che il pubblico non debba essere “tradito”: se sei stato premiato perché fai il monologo, il varietà, la commedia brillante, non devi deludere le aspettative. Poi non escludo, un domani, di compiere un passo del genere, muovendomi verso esperienze diverse, come è già successo per una commedia di Plauto (leggera, ma diversa dal varietà).
Quindi arriviamo a oggi. L’anno scorso ho portato in scena, insieme a Corinne Clery, “Il padre della sposa”, una commedia cui sono molto legato; un titolo famosissimo, tratto da un film americano. Quest’anno torno a parlare di Napoli, portando così a conclusione una serie di spettacoli che ho dedicato alla mia città. Il primo è stato nel 2005, si chiamava “Mettetevi comodi” e parlava in parte di Napoli. Due anni fa ho portato in scena “Quanno ce vo’ ce vo’”, molto legato al territorio: ho fotografato un momento della città, raccontandolo, cantandolo e interpretandolo. E a novembre debutta questo nuovo spettacolo, “La pazienza differenziata”, che chiude il capitolo dedicato a Napoli. Qui, insieme a Maurizio de Giovanni, uno scrittore che va oggi per la maggiore, e a Gustavo Verde, il mio autore storico, ho parlato dei napoletani, del loro stato d’animo, di questo momento molto difficile, di questo Medioevo che abbiamo vissuto negli ultimi 3 anni, dove al termine dei tanti disastri c’è solo un bel ricordo di una certa Napoli. Io lo racconto a modo mio, col sorriso, ma neanche troppo. Dopo lo spettacolo verrà pubblicato un cofanetto con un DVD e il libro “La pazienza differenziata”, dove si parla tanto delle attitudini dei napoletani, con i pregi e i difetti che accompagnano il nostro modo di vivere e di essere.
La pazienza è quella che i napoletani hanno nei confronti degli altri, ma anche verso alcuni conterranei. Non ci si pone dalla parte delle vittime. La pazienza, una delle sette virtù teologali, diventa un difetto quando si diventa rauchi o persino afoni, quando si subisce e non ci s’indigna, quando non si protesta più. I napoletani negli ultimi anni si sono accontentati senza protestare. Molto spesso c’indigniamo solo per questioni “condominiali”: l'immondizia non arriva al mio piano, per cui la cosa non mi tocca. Ma l’immondizia è un problema di tutti. Ciò è molto grave. In questo disastro una grandissima parte di responsabilità è nostra, non solo dei politici, ma di noi che ci scegliamo i rappresentanti politici.
Poi racconto l’altra faccia dei napoletani, che comunque riescono a tirarsi fuori, sviluppando quella grande forma d’intelligenza di cui siamo dotati, anche se ne utilizziamo solo il 50% di tanto in tanto.
Qual è quindi il tuo giudizio su Napoli?
Se fossi un insegnante, sarebbe “Non si applica, potrebbe fare di più, è svogliato, utilizza solo il 50% delle proprie risorse”. Per di più Napoli sta facendo scappare i migliori cervelli. Stiamo perdendo i figli migliori, che vanno via, emigrano. Come diceva Longanesi, “La patria è dov’è il lavoro” e quindi Roma,Verona, Londra, New York diventano la patria, mentre questa città dovrebbe essere la nostra patria. Perdendo i migliori cervelli ci indeboliamo, ci impoveriamo, e il futuro dei nostri figli da questo punto di vista può essere ancora più preoccupante. Per di più chi se ne va difficilmente ritorna. Questo è un altro passaggio che affronto. Ho la sensazione che in questo periodo, in questa fase così “medievale”, ci siano sempre più napoletani d’alto mare e meno “napoletani di scoglio”, cioè attaccati allo scoglio come una patella, come una cozza…
Come Gino Rivieccio…
Ecco, io sono stato napoletano di scoglio, ma negli ultimi tempi sono a metà strada, nel senso che oggi, sarà per l’età, sarà per la stanchezza, girando mi rendo conto di quanto ci costa questo mare, quanto ci costano questo sole, questo golfo, questo clima, quanto ci costa la canzone napoletana. Il prezzo è troppo alto, per cui molti iniziano ad essere più napoletani d’alto mare, sentono meno la mancanza della città. E di solito quelli che diventano napoletani d’alto mare non hanno nessuna nostalgia. Questo fa molto pensare. Vuol dire che probabilmente viviamo una fase in cui i difetti cominciano a essere superiori ai pregi: sta diventando troppo alto il prezzo per vivere vicino al mare, per andare a fare il bagno a novembre, per vedere il Napoli che vince la domenica, per avere qui i sentimenti, la famiglia… Per cui si preferisce stare nella pioggia e nella nebbia, ma vivere tranquillamente, in una città pulita, essere rispettati e guadagnare meglio. Quindi questo è il dato della città. Lo dico da padre, perché io posso cambiare vita, ma non cambia il risultato della mia carriera; mentre per i figli spesso la situazione è allarmante e molti ragazzi, appena laureati, vanno via.
Quindi hai una visione abbastanza pessimistica sull’evoluzione della città o intravedi qualche via d’uscita?
Intravedo sicuramente una svolta nel comune con De Magistris; mi auguro che alle parole seguano i fatti. Il segnale che la città ha voluto dare è stato significativo: una vittoria inaspettata, costruita grazie a Internet, che però indica che una parte della città vuole cambiare rispetto al passato e ha fiducia nel futuro. Ed è stato anche un bel segnale al Paese: una città che è assediata dall'immondizia e dall’illegalità, che esprime nel suo ceto politico tanti rappresentanti con problemi con la giustizia, poi sceglie come sindaco un ex-magistrato. Poi bisognerà vedere, perché Napoli ci ha abituato a incoronare dei re, dei sindaci, vedi Lauro, vedi Bassolino, per poi detronizzarli, e non vorrei che si rivelasse anche questa una delusione. Mi auguro invece che ci siano tutti gli elementi per dare una svolta, perché Napoli non può aspettare più. Abbiamo già chi ci ha illuso da Roma e credo che il tempo dei maghi, di chi dice panzane, sia finito. Confido nei Napoletani che vogliono bene a questa città, che hanno una dignità, che hanno una voce, che non sono rauchi, che hanno un garbo e una propria cultura. I Napoletani e non i Napolesi, perché ho la sensazione, come dico nel libro, che in questo regresso, in questo caos, ci sia anche chi ci guadagni, chi ci sguazzi: i Napolesi.
Tu che hai vissuto lungamente il teatro napoletano, avrai forse notato delle differenze: come si è evoluta la tradizione teatrale napoletana?
In peggio e in meglio. Come il sesso degli angeli, a seconda del punto di vista. Parlando dell'ultima o della penultima generazione, ci sono elementi di spicco come Toni Servillo e Salemme, sia pure su versanti diversi, come Buccirosso, per non parlare di quelli che fanno parte ormai della “nazionale", come Mariano Rigillo, Peppe Barra e altri ancora. Poi ci sono dei nomi che invece lo hanno peggiorato, perché è cambiato un po’ il gusto e una parte della città su questo nuovo gusto si è allineata, invece di ribellarsi e prendere le distanze. Per fortuna il teatro napoletano è così variegato e ricco che il rovescio della medaglia è che ci sono degli esponenti che ne tengono alto il nome. Un problema probabilmente è che in questo momento ci sono troppi teatri e non tutti fanno un buon teatro. E forse c’è un’offerta superiore alla domanda e ciò va a scapito della qualità. Il discorso sarebbe troppo lungo e forse un po’ politico, quindi non mi va neanche di scandagliarlo, ma ho la sensazione che un grande difetto sia il poco spazio riservato ai giovani autori. Alla fine si ripropongono sempre i testi di De Filippo, Curcio, Scarpetta, che è giusto fare, ma non solo... Per fortuna si fa Annibale Ruccello, però conosco tanti autori napoletani che vengono poco rappresentati.
Quindi a proposito della tua novità, del lavoro che hai scritto adesso…
L’elemento di novità nel mio lavoro è che tra gli autori compaia Maurizio de Giovanni, un nobile scrittore napoletano, vincitore di tanti premi, per ultimo il Camaiore Letteratura Gialla, con il Commissario Ricciardi. Quando gli ho proposto di intervenire ne “La pazienza differenziata”, ci ha messo del suo, rendendo più nobile questa operazione sui napoletani.
Insieme a "La pazienza differenziata" uscirà a fine novembre il dvd dello spettacolo di 3 anni fa, “Quanno ce vo’ ce vo’”, in una bella confezione realizzata da Graf editore (anche lui napoletano!), che 3 anni fa ha pubblicato il Gino Rivieccio Show. È un modo per rileggere Napoli e i Napoletani, per riflettere e per divertirsi, attraverso il dvd, con lo spettacolo di 3 anni fa. È un libro che evidenzia le contraddizioni, perché nella nostra terra, come in molte città arabe, in una zona è presente una ricchezza spropositata e immediatamente accanto c’è il degrado assoluto. Il Banco di Napoli, sede dell’opulenza, confina coi Quartieri Spagnoli. Contraddizioni esistenti anche fra una parte di me, il mio cervello, che mi invita a lasciare la città e a diventare Napoletano d'alto mare, e il cuore che invece mi costringe a rimanere ancora. Ma io sono convinto che il segreto dei matrimoni sia proprio la pazienza e quindi tra Napoli e i Napoletani non si arriverà mai al divorzio.
a cura di Laura Vigilante
Per saperne di più su "Retroscena" di Gino Rivieccio, fai clic qui.